Il carattere specifico dell’indagine dialettica

La dialettica, dice Garroni, è anche ‹‹analisi puntuale››, ‹‹ studio per così dire di <insiemi regionali>, di situazioni determinate, che tuttavia costituiscano un tutto, sufficientemente definito››, quando questo tutto sia ‹‹l’esperienza storico-naturale, di cui l’uomo è, ad un tempo, risultato e protagonista›› nel contesto della vita sociale che rende quell’esperienza possibile. Il suo compito è sondare le strutture della razionalità (come quella cui rimanda il tema del riconoscere/anerkennen ) che si presentano nell’ambito della vita etico-politica. Così ad esempio, l’analisi dialettica può mostrare il senso della forma giuridica, mostrando quale rapporto la leghi al riconoscimento sociale, mediante il quale la mia volontà diviene qualcosa di stabile, sicuro, obiettivo. ‹‹In altre parole, in quanto vivo nel contesto d’una esperienza sociale organizzata, è vero che <obiettivo> significa  riconosciuto da una volontà collettiva, strutturata mediante istituzioni; in questo senso, la pubblicità del diritto non è solo una garanzia per il singolo contro l’arbitrio del Potere, ma sì anche un modo per dare effettiva consistenza all’individuo mediante la società ed alla società mediante l’individuo ››.

Il fatto che lo stesso tema del riconoscere/anerkennen possa rintracciarsi anche nell’opera del neopositivista Schlick – tanto da legittimare un accostamento tra autori, Hegel – Schlick, per molto altro distanti – non deve sorprendere: la dialettica, sostiene Garroni, elabora sul terreno che le è proprio, concetti che appartengono alla tradizione razionalista. Gli stessi concetti possono ritrovarsi ad operare in campi diversi, quale appunto quello della riflessione epistemologica.

La conclusione più immediata che si ricava dall’articolo in questione riguarda, in sostanza, il modo in cui la dialettica deve essere intesa: tutt’altro da quella sorta di pensiero onnivoro che tritura ogni cosa negli ingranaggi dello schema tesi/antitesi/sintesi, cui non di rado si finisce per immiserirla. (E’ sbagliato leggere in questa raccomandazione filosofica una critica implicita a certo marxismo del Novecento ?). E certo non si può non riconoscere, a tutto merito del Garroni, che la delimitazione del campo di lavoro, per un sapere che si vuole puntuale e addirittura ‹‹empirico››, sia pure in quell’accezione di esperienza che l’autore sottolinea con le note metafore, è in definitiva un atto dovuto di igiene teorica. (A proposito, è sbagliato chiedersi ancora una volta quale rapporto intercorra tra questo sapere dialettico e le scienze: si pone accanto ad esse, le sovrasta o cosa ?). Ma è anche sufficiente ? In Schlick, la ragione ritrova e riconosce se stessa attraverso due distinti momenti: in quanto pone il ‹‹limite›› che le consente di distinguere il senso dal non senso e in quanto si mostra in grado di individuare un criterio che le consente, operando nell’area stessa del senso, di distinguere il vero dal falso. E’ possibile un sapere sensato e  puntuale che non contempli entrambi questi due passaggi ?

 A.C.

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